Figli d’arte – 1 – Il «passaggio generazionale» in casa De Sica

Figli d'arte - 1 - Il «passaggio generazionale» in casa De Sica

In questa pagina e in quella del mese prossimo mi ricollego idealmente agli articoli di febbraio e marzo scorsi, Il padre generale e Padre e figlio al capolinea: la storia di Tito Manlio Torquato che fece uccidere il proprio figlio. Nell’antica Roma l’istituto giuridico del pater familias non metteva al riparo dai reati di parricidio e figlicidio. (1) Nella Roma di oggi, mentre il «passaggio generazionale» è caratterizzato pressoché ovunque da un drammatico conflitto, troviamo con sorpresa un esempio edificante di una diversa e felice soluzione. Casa De Sica è, infatti, ricca di «figli d’arte», espressione tutta da riscoprire. Nel Novecento, in Italia e non solo, cinema, musica e teatro hanno fatto il nostro modo di vivere almeno quanto le parrocchie, le cellule di partito o i campi da calcio: realtà costituite da legami sociali, ovvero “pane psichico” per tutti e per più generazioni. In questo quadro spicca il caso dei De Sica. Christian, il popolarissimo attore comico, ne ha scritto anni fa nel suo libro Figlio di papà, (2) mentre proprio in questo mese il fratello maggiore Manuel, musicista e anch’egli uomo di successo, ha pubblicato Di figlio in padre: (3) libri godibilissimi e molto diversi tra loro, come lo sono i figli del grandissimo attore e regista Vittorio De Sica (4) e della sua seconda moglie, l’attrice spagnola Maria Mercader, scomparsa pochi anni orsono. (5) Christian racconta così gli esordi della sua carriera:
«Avevo diciott’anni (…). Mio padre mi diceva: “Vuoi fare l’attore? Altro che l’attore, tu devi studiare. Ma che sei matto? Studia, studia, tu devi prendere la laurea. In lettere.” (…) Mio padre non voleva in nessun modo che io facessi l’attore, e mai mi avrebbe aiutato, segnalato ad altri o fatto lavorare in un suo film.» (6)
Ma ecco come Christian descrive il passaggio saliente dei suoi inizi:
«Presa la maturità, bei voti, media dell’otto. Voglio fare il viaggio iniziatico, quello esistenziale, picaresco e godereccio, quello che sancisce la fine della scuola e dell’adolescenza. Destinazione Sudamerica. Caracas. Ho vent’anni, papà e mamma mi accompagnano all’aeroporto. E’ il primo viaggio importante che faccio da solo. Le altre volte partivo con i miei cugini o con mio fratello o con i miei genitori. Silenziosi, non mi dicono niente. Pensavo che mi dicessero: “Sta’ attento, la metti incinta…”. Andavo da una ragazza venezuelana, Rina Ottolina, figlia di un presentatore televisivo, con la speranza di cominciare a fare l’attore. (…) “Chiamaci, non fare lo stronzo, non prendere droghe, non bere martini, whisky, mettiti la maglia”, insomma le cose che i genitori dicono a un ragazzo di quell’età che sta per partire (per Caracas, sognando mitici ribelli e barbudos, generali leggendari, fiesta, fuego, amor.) Niente. Silenzio. Annunciano il volo, scendo a prendere la navetta che mi avrebbe portato all’aereo. Mamma comincia a piangere, papà persevera a non dire niente, io mi avvio, sentendomi quasi in colpa per questo irreale non detto, quando, mentre sto sulla scaletta, sento un fatale e teatrale “Christian! Christian!” e mi giro: “Che è?”. “Ricordati, prima di entrare in scena, un’ombra di grigio sulle palpebre.” Il consiglio di papà. Un attore.» (7)
Fu così che il padre diede il suo viatico alla carriera di attore del figlio. Nulla a che fare con l’invidia, anzi. In quell’unico e meditato consiglio, verrebbe da dire, c’è più realismo di quanto ce ne sia nel neorealismo, (8) di cui pure Vittorio De Sica era stato un fondatore.
Per parte sua, molti anni dopo, nel 1974, Christian riuscì ad essere accanto al padre nel momento in cui questi morì, a seguito delle complicanze di un intervento chirurgico non riuscito. Ad un certo punto Vittorio gli sussurrò con un filo di voce le sue ultime parole: «Mi raccomando. Quanto mi dispiace che siete così giovani, tu e Manuel. Stai vicino a mamma, Christian, e soprattutto, guarda che bel culo che c’ha quell’infermiera». (9) Un commiato in stile “cinepanettone”. Riflettiamo prima di stigmatizzare! Aveva in mano un bicchiere di whisky, non la cicuta. E la frase non sarebbe mai venuta in mente a Socrate.
Anche il libro Di figlio in padre, di Manuel De Sica, offre moltissimi spunti di riflessione. Ad esempio, Manuel e Christian, quando erano ancora bambini, si esibivano in recite per familiari ed amici, interpretando episodi scritti appositamente per loro dal padre. Per inciso, quei testi erano per lo più redatti nello stile di Achille Campanile, loro amico e lontano parente. (10)
Manuel, alludendo alla vena goliardica che serpeggiava in famiglia, scrive che «i parenti di papà erano un branco di matti.» Lo zio Elmo li batteva tutti: «scherzava sempre. Entrando al buio in una sala cinematografica, seguito dalla moglie Lina, da mio padre e da mia madre, si abbassava gradatamente, fingendo di scendere dei gradini e mandando in disperazione il suo seguito!» (11)
Il libro è una miniera di episodi raccontati con freschezza e in modo personale, che descrivono bene il clima di favore di cui entrambi i figli godettero. Tuttavia non fu affatto un idillio: Manuel lo attesta ripetutamente. Ciononostante, egli testimonia fino all’ultima pagina il solido desiderio di avere ancora il padre accanto a sé. Riportando le parole commosse di Cesare Zavattini (12) alla morte dell’amico regista, Manuel scrive: «Chissà cosa direbbero oggi “i due fanciulli”, se potessero ammirare l’opera più compiuta della mia vita: mio figlio Andrea.» E’ il medesimo pensiero di Napoleone Bonaparte nel momento della sua incoronazione, come annota Freud in un suo scritto del 1936. (13)
E’ opinione assai diffusa che il talento o la genialità dei figli siano da ascrivere al sangue o al DNA. Il celeberrimo film Miracolo a Milano (1951) fa giustizia di tali ridicolaggini. In una breve e divertentissima scena, il barbone Giuseppe fa l’indovino: rivolgendosi ad ogni suo cliente, senzatetto come lui, lo guarda intensamente e gli dice con aria ispirata, da esperto fisionomista: «Che fronte! Che bel sorriso! Che profilo! Lei non finisce qui. Chissà chi era suo padre! [e, cambiando tono repentinamente] Cento lire.» (14) Fantastico!
Sarà anche vero che i De Sica hanno l’arte nel sangue, ma si tratta di “sangue psichico”. Non so quanti oggi conoscano quella bellissima canzone di Charles Aznavour, L’istrione (1969): (15) «Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me. (…) Io sono un istrione, ma la teatralità scorre dentro di me.»
Genialità e teatralità sono solo sostantivi astratti: non risiedono nel DNA, né sono qualità self-made. Manuel e Christian De Sica, invece, hanno avuto a che fare con un padre reale, e non lo hanno rinnegato. (1 – continua)

NOTE
1. Il 10 aprile scorso, a Milano in S. Maria delle Grazie, Eva Cantarella, nella sua lezione Padri e figli nell’antica Roma, ha bene illustrato quanto fosse allora diffuso il parricidio.
2. Christian De Sica, Figlio di papà, Mondadori, 2008.
3. Manuel De Sica, Di figlio in padre, Bompiani, 2013. Il libro è anche un accorato appello perché la storia del cinema venga insegnata nelle scuole medie insieme alla storia dell’arte: un auspicio che merita la massima attenzione.
4. Vittorio De Sica (1901-1974) è stato uno straordinario attore, regista e sceneggiatore. E’ uno dei protagonisti della commedia all’italiana e del neorealismo (accanto a Rossellini, Visconti e Antonioni e ad altri). La sua produzione è vastissima e vanta numerosi capolavori che hanno fatto la storia del cinema mondiale.
5. Maria Mercader (1918-2011), di origini spagnole, iniziò a lavorare come attrice in Italia. Fu la seconda moglie di Vittorio De Sica, e la madre di Manuel e Christian.
6. C. De Sica, Figlio di papà, op. cit., pag. 73.
7. Ibidem, pag. 35.
8. Il neorealismo, in ambito cinematografico, fu un movimento sorto spontaneamente in Italia durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Rappresentò in modo drammatico e innovativo l’anelito alla ricostruzione e la speranza di tanta parte dell’Italia di quegli anni, soprattutto delle classi più povere: una lezione da riscoprire.
9. C. De Sica, Figlio di papà, op. cit., pag. 60.
10. M. De Sica, Di figlio in padre, op. cit., pag. 43. I testi di quegli sketchandarono perduti. Furono prestati in originale a Marcello Marchesi, altro geniale umorista italiano, scomparso prematuramente in un incidente nel 1978: «annegò insieme al quaderno di papà», scrive Manuel De Sica.
11. M. De Sica, Di figlio in padre, op. cit. pag. 135.
12. Cesare Zavattini (1902-1989), detto “Za”, fu sceneggiatore e scrittore, e realizzò con De Sica un fecondo sodalizio pluridecennale, cui dobbiamo opere come: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D. (1952).
13. M. De Sica, Di figlio in padre, op. cit. pag. 220. Cfr. anche il mio articolo Un Edipo senza conflitti in questa stessa rubrica.
14. La sequenza è disponibile su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=_IH3fsG34gk
15. Il link ad una performance di Aznavour: https://www.youtube.com/watch?v=hfGHWqnstU0

Illustrazioni di Chiara Ciceri

Pubblicato in Father & Son