Il bambino erede “a babbo vivo” – Elogio della Pasionaria di Guareschi

«Gli scrittori che hanno vissuto la coda del secolo precedente e respirato l’aria del nuovo millennio non amano molto le impalcature delle storiografie ufficiali». E’ il caso di Guareschi (1908-1968), «figura scomoda anche dopo morto: la sua opera costringe a ripensare un Novecento liquidato da storie della letteratura fin troppo ingessate in categorie vecchie e obsolete».

Così scrive Guido Conti nella breve introduzione alla sua avvincente e documentatissima biografia del celebre scrittore emiliano.[1] Colpisce il divario tra l’enorme popolarità di molte opere di Guareschi, tra cui anzitutto la saga di don Camillo, giustamente definita un successo planetario,[2] e la scarsa conoscenza della sua vita e del contesto in cui operò in modo davvero prolifico, prima, durante e dopo la seconda guerra. «Un resistente bipartisan», secondo Giampaolo Pansa.[3]

Tralascio la letteratura, pressoché sterminata, su Guareschi giornalista, umorista, caricaturista e sceneggiatore, e mi limito a proporre una nota su un suo bellissimo racconto, Gli eredi, pubblicato la prima volta nel 1949 sul Candido, e riproposto in apertura del Corrierino delle famiglie nel 1954.[4]

Non riassumo il racconto, ma invito coloro che non lo conoscessero a leggerlo prima di procedere:

G. GUARESCHI: “GLI EREDI”

Aldilà della commozione suscitata dal breve e geniale testo, non se ne coglie il senso se non si afferra che cosa accade tra i due protagonisti: un padre e la sua bambina di cinque anni. Aggiungo, per inciso, che la piccola Carlotta, la Pasionaria, ha la stessa età del piccolo Hans, il bambino divenuto celebre grazie alla penna di Freud circa cinquant’anni prima.[5] Poco importa se l’episodio narrato da Guareschi sia accaduto davvero o sia invece il prodotto della frizzante fantasia dell’autore. Nel primo caso l’atto descritto è da ascrivere al pensiero ben formato della bambina; nel secondo… è l’autore stesso, all’età di quarant’anni, a ritornare bambino, capace di trattare bene la propria figlia.

Dunque, nel finale a sorpresa, la Pasionaria piazza il suo dischetto rosso sulla fronte del padre, che era diventato «roba sua», con le parole di Guareschi. Vero.

Che cosa ha fatto la bambina?

Primo: rispondendo al pericoloso «giochetto che piace alle mammine», stigmatizzato con molto garbo dall’autore, Carlotta coglie la palla al balzo per affermarsi come erede. Lo fa motu proprio, senza attendere ulteriori e luttuosi eventi. Erede a babbo vivo, insomma, secondo una felice espressione coniata anni fa dallo psicoanalista Giacomo Contri.
Secondo: Carlotta opera secondo il pensiero descritto nel salmo 15, pur senza conoscerlo: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice». Cioè tratta come suo possesso legittimo non soltanto una serie di oggetti o beni già appartenenti alla famiglia, ma la fonte stessa di quell’eredità: suo padre. Lo fa con un salto logico, o meglio: con un salto sì, ma logico.

Giustamente Guido Conti commenta: «Sotto l’apparente gioco, tra sorriso e ironia, Guareschi racconta un’angoscia vera, un dramma paventato che si vive in tutte le famiglie, che porta spesso al litigio furioso dei figli sull’eredità» (corsivo mio). Osserviamo che l’angoscia evocata in questo racconto è destata dall’eredità, non dal pensiero della morte.[6] Guareschi lo sa, e proprio per questo la sua intuizione è geniale: in questo racconto, personaggi e fatti sono in controtendenza rispetto al nostro tempo. Infatti il pensiero dell’eredità sembra essere la buccia di banana su cui scivola l’intera civiltà moderna. Del resto, le cose sono andate e vanno (quasi) sempre così.

Quando lessi Una teoria della giustizia, del filosofo statunitense J. Rawls,[7] rimasi impressionato dal fatto che egli annettesse un’enorme importanza al tema dell’eredità, trattandola solo come ostacolo e questione apparentemente irrisolvibili nel definire i principi della giustizia. Per ovviarvi Rawls elaborò, riprendendola da altri filosofi, la sua teoria del “velo di ignoranza”. Essa rappresenterebbe l’unica posizione originaria (?), capace di accomunare tutti gli uomini nella scelta dei princìpi della giustizia. Una giustizia senza eredità alcuna, dunque. Non saprei dire se Rawls si accorgesse delle implicazioni che la teoria recava con sé: per il diritto, per le istituzioni, per tutti i rapporti che costituiscono la vita quotidiana di ognuno.

Ancora. Spingerei l’interpretazione dell’atto della Pasionaria fino a paragonarlo con la celebre frase del protagonista della novella La roba di Verga: «Roba mia vientene con me!».[8] L’avido Mazzarò (quasi omen nomen, nome-destino), «omiciattolo basso e pingue» ormai prossimo alla morte, in piena crisi clastica, strillava e barcollava «ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini». E’ il ritratto di un uomo disperato e psicotico (disperato perché psicotico), mentre qui la Pasionaria si rivela un’economista coi fiocchi, la cui mossa può essere considerata una divisione dei proventi derivanti dall’azienda di famiglia, o addirittura un caso di start up. Ma, a differenza dei giovanotti della Silicon Valley, la Pasionaria non ha il problema di rompere con il passato.

In senso diametralmente opposto a quello di Mazzarò, «Roba mia, vientene con me» descrive bene il pensiero della figlia di cinque anni verso il proprio padre. Dichiarandogli tutto il suo trasporto, è come se gli dicesse: «Te, ti sposo io!» Casto coniugio.[9] Quel padre, sorpreso e soddisfatto, conclude: «…e tornai a letto col bollo rosso fieramente appiccicato sulla fronte…». Più vivo che mai!

Mi piace pensare che Guareschi abbia voluto iniziare il suo Corrierino proprio con questo racconto anziché con altri, peraltro non meno arguti e di piacevolissima lettura.[10]

 


[1] G. Conti, Giovannino Guareschi. Biografia di uno scrittore, Rizzoli, 2008. Il titolo dell’introduzione, Istruzioni per l’uso, rende onore alle pagine con cui Guareschi inizia il suo Diario clandestino (1949). Sulla figura e l’opera del grande scrittore segnalo solo: 100 anni di Guareschi. Letteratura, Cinema, Giornalismo, Grafica. Atti del Convegno Internazionale, Parma, 21-22 novembre 2008, a cura di A. Bergogni, MUP Editore, 2009. E, dello stesso editore, Le burrascose avventure di Giovannino Guareschi nel mondo del cinema, di E. Bandini, G. Casamatti, G. Conti, 2008.

[2] A questo proposito, trovo rilevante la notizia che traggo da un’intervista di Antonella Pilla a Mons. Andrea Lonardo: «…nel ’59, appena eletto Papa, Giovanni XXIII (…) fece chiedere proprio a Guareschi se se la sentiva di scrivere un catechismo della Chiesa per mostrare la vitalità della morale, dei dogmi, della liturgia cristiana. Guareschi, a quel tempo, rispose subito che era assolutamente impensabile perché non si riteneva in grado. Poi, pian piano, ci ripensò e si rese conto che in realtà avrebbe potuto commentare ogni aspetto della fede cristiana dicendo: “Don Camillo dice… o don Camillo fece… o don Camillo pensò…”, ma era troppo tardi. Giovanni XXIII oramai era diventato anziano, si era ammalato ed il progetto era decaduto.»

http://it.radiovaticana.va/storico/2014/03/16/la_diocesi_di_roma_rilegge_in_un_incontro_le_figure_di_don_camillo_e/it1-781932

[3] G. Pansa, L’uomo che disse no, in Il Grande Diario. Giovannino cronista del Lager 1943-1945, Rizzoli, 2008. In queste settimane il Corriere della Sera ripropone l’edizione delle opere di Guareschi per i tipi di Rizzoli; mentre Gian Arturo Ferrari gli dedica un interessante articolo sul numero di Sette del Corriere della Sera del 2 gennaio 2015.

[4] G. Guareschi, Gli eredi, in: Corrierino delle famiglie, 1^ ed. RCS Libri S.p.A., Milano 1954; 5^ ed. BUR Narrativa, aprile 2011. Chi desidera approfondire la conoscenza dell’opera di Guareschi può trovare moltissimo materiale sul sito www.giovanninoguareschi.com. Il link http://www.giovanninoguareschi.com/2014-Bibl-essenz.pdf riporta la vastissima bibliografia curata dal “Club dei Ventitré”, «l’associazione culturale costituita nell’aprile del 1987 che vuol essere un punto di riferimento per tutte le persone che sono interessate a Giovannino Guareschi e alla sua opera.» Inoltre, vale senz’altro una visita la mostra antologica permanente della Casa Archivio Guareschi a Roncole Verdi, curata dai figli Alberto e Carlotta, che ringrazio per la squisita ospitalità.

http://www.mondopiccolo.it/web/it/?page_id=414 Rinvio anche all’intervista ad Alberto e Carlotta:

http://www.mondoguareschi.com/roncole.php?lang=it&page=ron_ig_001

[5] S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans), 1908, OSF, Vol. V, pagg. 475-589. L’accostamento, per quanto possa sorprendere, è lecito: il tema, infatti, è il medesimo. Molto diversi, invece, il tono e il contenuto delle due relazioni e dei dialoghi corrispondenti: quella tra padre e figlia, qui tratteggiata da Guareschi, e quella tra la madre e il piccolo Hans, descritta dettagliatamente da Freud.

[6] Lo dimostra anche un passaggio precedente, in cui il figlio maggiore Albertino (sette anni), ancora soggiogato dalle provocazioni materne, «continuava a leggere singhiozzando l’ultimo fascicolo delle Paperoavventure.» Il finale del racconto rivela una mossa ugualmente felice del primogenito nei confronti della madre.

[7] J. Rawls, (1921-2002). A theory of justice, 1971. Trad. it. Teoria della giustizia, a cura di S. Maffettone, trad. di U. Santini, Feltrinelli, 1982. http://it.wikipedia.org/wiki/Una_teoria_della_giustizia

[8] «Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me!». (G. Verga, La roba, in Novelle rusticane, 1883)

[9] Mi piace ricordare che Casti Connubii è anche il titolo dell’Enciclica che Papa Pio XI dedicò al matrimonio nel 1930.

[10] Tra essi, ricordo La rivoluzione d’ottobre, che racconta il primo giorno di scuola della Pasionaria. Si veda anche l’articolo di C. Mereghetti Quando una figlia si sposa: il “tragico” resoconto di papà Guareschi, sul sito www.culturacattolica.it Nella mia infanzia Guareschi è stato una compagnia costante, fino a comporre il clima in cui sono cresciuto. Tra gli umoristi del dopoguerra che mio padre ci invitava a leggere, Guareschi era senza dubbio il più amato da me e Annamaria, mia sorella, accanto ad altri umoristi come Carlo Manzoni, Achille Campanile e Giovanni Mosca, peraltro amici dello stesso Guareschi.

Questo articolo è stato pubblicato l’8 gennaio 2015 sul sito www.culturacattolica.it.

 

 

Pubblicato in Father & Son