Santiago: una strage annunciata. Quale prevenzione?

Santiago: una strage annunciata. Quale prevenzione?

La cronaca delle settimane tra luglio e agosto ha dato risalto ad alcuni gravissimi incidenti mortali, stradali e ferroviari. Quello occorso alle porte di Santiago di Compostela mi ha impressionato più degli altri per la dinamica e gli effetti. Secondo le indagini, ancora in corso, è molto probabile che la strage sia da imputare alla condotta del macchinista. Giornali e TV hanno parlato di “errore umano”, un’espressione che merita la massima attenzione: umano non è sempre sinonimo di buono, comprensibile, perdonabile, ed errore sembra una parola troppo debole e ovattata. Santiago di Compostela, 24 luglio scorso: un treno ad alta velocità con otto carrozze e due motrici deraglia con 218 passeggeri a bordo: 79 persone perdono la vita. (1) L’eccesso di velocità è la prima ipotesi circa la causa dell’incidente. Il macchinista, tale Garzon Amo, estratto dalle lamiere praticamente illeso e in stato di shock, conferma quanto viene poi rivelato dalle scatole nere: il treno, che fino a poco prima viaggiava a 199 chilometri orari, ha affrontato una curva alla velocità di 179 km/h, mentre il limite in quel tratto è di 80 km/h. (2)

Il macchinista – trent’anni di servizio alle spalle – si era precedentemente vantato su Facebook di avere trasgredito ripetutamente le norme che fissano i limiti di velocità. Era perfino arrivato a postare la foto del tachimetro di bordo. Qualcuno se ne era accorto e lo aveva bonariamente rimproverato:
“Freeeena che vai troppo veloce” gli dice un utente su Facebook. Garzon risponde: “Sono al limite non posso andare di più”. “Ma se vai a 200” gli dice di nuovo l’altro. E lui: “Ma il tachimetro non è truccato”. Alla conversazione si aggiunge un terzo: “Se ti becca la Guardia Civil (la polizia spagnola) rimani senza punti”. Garzon rilancia con una battuta, scritta in maiuscolo: “Che bello sarebbe andare in parallelo alla Guardia Civil e superarli facendo saltare l’autovelox. Ah ah, che bella multa per Renfe” (Renfe Operadora è l’impresa titolare dei trasporti nazionali in Spagna, comprendenti l’Alta Velocità, ndr.).
In realtà, il criminale stava preparando l’omicidio di massa, mentre ingannava se stesso con l’alibi di mirare solamente a procurare “una bella multa” alla ditta per la quale lavorava. Un tragico esempio di scissione dell’Io: pochi secondi per non azionare il dispositivo frenante del convoglio, e il blackout del pensiero si rivela essere il precipitato di tutta una vita: gli effetti non sono una multa, ma una strage.
Un esempio molto istruttivo a tale proposito ci viene da Freud.
In Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), egli dedica più di una lezione agli “atti mancati”. Nel prendere in esame i lapsus di scrittura, Freud riporta il seguente esempio: «Vi ricorderete forse del caso di quell’assassino, H., abile nel procurarsi da istituti scientifici colture di microbi patogeni estremamente pericolosi, spacciandosi per batteriologo, per poi adoperare queste colture per togliere di mezzo in tale modernissimo modo i suoi conoscenti. Accadde che quest’uomo lamentò una volta presso la direzione di uno di tali istituti l’inefficacia delle colture speditegli, ma nel farlo commise un lapsus di scrittura: al posto delle parole “nei miei esperimenti su topi (Mausen) o cavie (Meerschweillchen)”, scrisse chiaramente la frase: “nei miei esperimenti su uomini (Menschen)”. Questo lapsus diede nell’occhio anche ai medici dell’istituto, ma essi, per quanto ne so, non ne trassero alcuna conclusione. Ora, voi che ne pensate? Non avrebbero dovuto piuttosto accogliere il lapsus come una confessione e promuovere un’indagine, con la quale si sarebbe tempestivamente posto fine alle malefatte di quell’uomo? Forse che in questo caso l’ignoranza della nostra concezione degli atti mancati non è divenuta la causa di un’omissione importante dal punto di vista pratico? Per quanto mi riguarda, un tale lapsus di scrittura mi sarebbe certamente apparso molto sospetto; ma qualcosa di importante si frappone alla sua utilizzazione come confessione. La cosa non è così semplice.» (3)
Se è vero che la cosa non è semplice, (4) è anche vero che la facoltà di porre diagnosi circa gli atti o i comportamenti sani o patologici, propri o altrui, è in capo ad ogni individuo. Il suo esercizio comprende il sapere distinguere tra errore e crimine, per il bene proprio e di tutti.
L’amico su Facebook del macchinista non ha pensato di poter intervenire, forse trattenuto o ammaliato anch’egli dalla folle impresa di cui l’altro si vantava.
Con un salto del tutto legittimo, il pensiero va alla canzone Emozioni, (5) uno dei più grandi successi di Lucio Battisti (1970): «E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere / se poi è tanto difficile morire / E stringere le mani per fermare / qualcosa che / è dentro me / ma nella mente tua non c’è / capire tu non puoi / tu chiamale se vuoi / emozioni». Occorrerà tornare sull’ambiguo fascino (6) delle condotte suicidarie e autolesionistiche: il suicidio – scriveva Freud – non è che un omicidio di massa rivolto contro se stessi. Nessun senso di colpa, dunque? Mi limito a segnalare la questione, per riprenderla in un’altra occasione.
Oggi i più si riempirebbero la bocca con appelli alla “messa in sicurezza” di servizi così sofisticati e pericolosi, come è di fatto l’Alta Velocità. Nessuno, che io sappia, ha osservato che quell’amico su Facebook, dopo aver letto la maniacale dichiarazione di guerra del macchinista, avrebbe potuto prendere le parti della difesa del pensiero. Del pensiero sano, o di quel poco che ne era rimasto nell’omicida stesso; e di quanti sono rimasti uccisi o feriti a causa sua. Avrebbe potuto rispondergli sul social network: «Se non correggi la tua dichiarazione di morte, lo segnalo ai tuoi superiori». Così facendo, quell’amico sarebbe stato veramente tale e lo avrebbe trattato in modo paterno. Sarebbe stato un caso di prevenzione del crimine attuato da un individuo senza attendere l’iniziativa di un qualche organo ad essa preposto. (7) Tale condotta avrebbe potuto evitare o almeno contenere il disastro? Forse sì.
Se l’amico lo avesse richiamato, avrebbe assunto almeno per un momento il posto di un fratello autorevole che, quando serve, corregge difendendo la salute dell’amico insieme alla propria. Una opera comune di difesa del buon pensiero – i medievali lo chiamavano “buon governo” – da cui gran parte dell’umanità trae ogni giorno il sostentamento per sé e per altri. Partecipando a questo lavoro è possibile per ciascuno mirare alla soddisfazione senza alcun bisogno di inseguire fantasie omicide.

NOTE
1.http://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_ferroviario_di_Santiago_di_Compostela
2. «Il macchinista (…) non fu distratto dal collega della Renfe che lo chiamò per dargli istruzioni. Infatti, al momento dell’impatto aveva chiuso la telefonata da 11 secondi. E’ quanto emerge dalla dichiarazione del tecnico della Renfe, Antonio Martin Marugn, ascoltato oggi come teste dal giudice Luis Alez che conduce l’inchiesta. “Al momento dell’incidente – ha detto – avevo già il telefono in tasca”. (…) Alla luce delle risultanze e della testimonianza, il giudice ha confermato che non fu la chiamata di servizio a distrarre Garzon Amo. Questi fu chiamato alle 20:39:06, appena due minuti prima del deragliamento. La risposta arriva nove secondi dopo e la comunicazione dura in tutto 40 secondi. Pertanto, quando il treno deragliò la comunicazione era stata conclusa da 11 secondi. Durante la conversazione si sente un primo avviso acustico di allarme che allerta – secondo quanto spiegato da Renfe – dell’approssimarsi della curva “A Gradeira”, che ha il limite di 80 km/k mentre il treno procedeva a 199. Negli 11 secondi di intervallo dalla fine della chiamata all’impatto fatale Garzon Amo si è accorto che andava troppo veloce e azionò il sistema di frenata, ma il rallentamento non fu sufficiente a evitare la strage. Il macchinista disse al giudice di essersi distratto e di aver capito in ritardo che la velocità era troppo alta. Prima dell’incidente vi furono tre segnalazioni acustiche e una visiva che indicavano anomalie al macchinista del treno deragliato a Santiago de Compostela. Tutti negli undici secondi nei quali Garzon Amo non era più al telefono con il collega della Renfe. Il primo, acustico, alle 20:40:55, segnala l’approssimarsi della curva “A Gradeira”, a circa 500 metri; alle 20:40:56, uno visivo e l’altro acustico; alle 20:40:59 il conducente aziona il freno di emergenza, e alle 20:41:02 l’ultimo segnale acustico, poco prima dell’impatto mortale.» (Ansa, 2 agosto 2013).
3. S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, OSF, Bollati Boringhieri, vol. VIII, pag. 249.
4. Infatti Freud prosegue: «Il lapsus di scrittura è sicuramente un indizio, ma non sarebbe stato sufficiente di per sé solo ad avviare un’inchiesta. E’ vero che il lapsus dice che l’uomo è occupato dal pensiero di provocare un’infezione in altre persone, ma non permette di decidere se questo pensiero abbia il valore di un chiaro proposito nocivo o quello di una fantasia senza importanza dal punto di vista pratico. E’ persino possibile che l’uomo che ha commesso un simile lapsus di scrittura rinneghi, adducendo motivazioni soggettive perfettamente legittime, questa fantasia, o la respinga come qualcosa che gli è completamente estraneo.» (ibidem)
5. Il link alla canzone Emozioni, in una esecuzione live di Lucio Battisti: http://www.youtube.com/watch?v=Xp1J_UpKgZY
6. “Ambiguo fascino” è un ossimoro, cioè un’espressione su cui il pensiero può scivolare. Me ne servo per segnalare come al giorno d’oggi esista tutta una letteratura intorno all’estetica della strage. Chiunque può farsene un’idea: basti pensare alle immagini dell’11 settembre, la cui diffusione sul web fa riflettere. «Hai mai visto una catastrofe più bella?»: è una frase contenuta nella sequenza finale del film Zorba il greco (M. Cacoyannis, 1964, dall’omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis). In essa, dopo molti eventi luttuosi, il protagonista, interpretato da uno strepitoso Anthony Quinn, balla estasiato il sirtaki, inneggiando così al fallimento. Più volte G.B. Contri lo ha commentato sul suo Blog e in altre occasioni. Rinvio qui alla sequenza del film: https://www.youtube.com/watch?v=4UV6HVMRmdk
7. Recentemente ho partecipato ad una Giornata di Studio promossa dall’Unità di Ricerca in Psicologia del Traffico dell’Università Cattolica sul tema: “La valutazione psicologica di idoneità alla guida”. A mio avviso, persino un accurato screening psicologico di conducenti e autisti non può azzerare il rischio di atti criminali di questa specie.

Pubblicato in Father & Son